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Catechismo Romano

L'Eucaristia come sacrificio

Resta da considerare l'Eucaristia come sacrificio. E così sarà completo quel che i Pastori, a norma del concilio di Trento, dovranno conoscere e insegnare al popolo nelle domeniche e nelle altre festività (Sess. XXII, cap. VIII). Infatti l'Eucaristia non è solo il tesoro della ricchezza celeste, il cui buon uso procura la grazia e l'amore di Dio, ma possiede anche il mezzo per ringraziare Dio per gl'immensi benefici a noi elargiti. Volendo comprendere quanto sia grata ed accetta a Dio questa Vittima, quando viene immolata secondo il legittimo rito, si consideri che i sacrifici dell'antica Legge — di cui pure era scritto: Di sacrifici e di offerte tu non prendi diletto (Salm. XXXIX, 7); e ancora: A te non piacciono i sacrifici di animali: potrei offrirtene, ma l'olocausto non ti diletta (Salm. L, 18) — piacquero tanto al Signore, che secondo la Scrittura Dio sentì in quelli come un odore soavissimo, per significare che gli furono grati ed accetti (Gen. VIII, 21). Ora che cosa non dobbiamo sperare noi da un sacrificio, in cui viene immolato Colui del quale per ben due volte una voce celeste proclamò: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi son compiaciuto? (Matt. III, 17). I Parroci esporranno dunque diligentemente questo mistero, affinché i fedeli, venendo ad assistere al sacrificio, sappiano meditare con attenzione e pietà i misteri ai quali partecipano.

Insegneranno innanzi tutto che Cristo ha istituito l'Eucaristia per due ragioni: primo, per offrire all'anima un alimento celeste, che ne conservasse la vita spirituale; secondo, affinché la Chiesa avesse un sacrificio perpetuo, capace di soddisfare per i nostri peccati, e di piegare dall'ira alla misericordia, dalla severità di un giusto castigo alla clemenza, il Padre celeste, spesso gravemente offeso dalle nostre iniquità. Una figura di ciò la troviamo nell'agnello pasquale, che gli Ebrei immolavano e mangiavano come sacrificio e come sacramento. Né poteva il Redentore, prima di offrire se stesso a Dio Padre sull'altare della croce, darci più chiaro pegno del suo immenso amore verso di noi, che lasciandoci questo sacrificio visibile, mediante il quale noi potessimo rinnovare l'immolazione cruenta, che egli era per consumare l'indomani, una volta per sempre, sopra la croce; e, in tal modo, la sua memoria venisse ogni giorno celebrata dalla Chiesa su tutta la terra con grandissimo frutto, fino alla fine del mondo.

Differenza tra sacrificio e sacramento

Ma tra i concetti di sacramento e di sacrificio vi è grande differenza. Il sacramento si effettua mediante la consacrazione, mentre l'essenza del sacrificio sta nell'offerta immolatrice. Perciò l'Eucaristia, finché è conservata nella pisside o è portata a un infermo, ha carattere di sacramento e non di sacrificio. Appunto, come sacramento apporta titoli di merito a coloro che la ricevono, procurando loro i vantaggi sopra ricordati. Invece, come sacrificio, possiede, oltre alla virtù di meritare, anche quella di soddisfare. Pertanto come Cristo signor nostro nella sua passione meritò e soddisfece per noi, così quelli che offrono questo sacrificio, per il quale comunicano con noi, meritano di partecipare ai frutti della passione del Signore e quindi alla sua opera di soddisfazione.

Istituzione e figure del sacrificio della Messa

Il concilio di Trento ha tolto ogni dubbio circa l'istituzione di questo sacrificio, dichiarando che fu istituito da Gesù Cristo nell'ultima cena. Anatematizza poi chi afferma che a Dio non si offre un vero e proprio sacrificio nella Chiesa, ovvero che offrire non significa altro che dare in cibo ai fedeli la carne del Signore.

Né tralasciò di spiegare diligentemente che il sacrificio si offre solo a Dio; e che la Chiesa, pur celebrando messe in memoria e onore dei santi, offre il sacrificio non ad essi, ma solo a Dio, che ha coronato i santi di gloria immortale. Il sacerdote non dice mai: Offro il sacrificio a te, Pietro, o Paolo; ma, mentre immola e sacrifica solo a Dio, lo ringrazia per le insigni vittorie riportate dai martiri, e implora il loro patrocinio, affinché si degnino d'intercedere per noi in cielo, mentre facciamo memoria di loro in terra.

La Chiesa Cattolica ha appreso dalla parola stessa di Cristo quanto Egli ci ha insegnato circa la realtà del sacrificio eucaristico. Cristo, infatti, disse agli Apostoli affidando loro nell'ultima cena i sacri misteri: Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19; I Cor. XI, 24). In quel momento li istituì sacerdoti, come insegna il concilio di Trento, ordinando ad essi e a tutti quelli che sarebbero loro succeduti nell'ufficio sacerdotale, di immolare e offrire il suo corpo. La stessa cosa è chiaramente confermata dalle parole di san Paolo ai Corinzi: Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (I Cor. X, 20). Ora, come per mensa dei demoni si deve intendere l'altare su cui questi ricevevano i sacrifici, così per mensa del Signore si deve intendere l'altare sul quale si sacrifica a Dio; altrimenti non tornerebbe l'argomentazione dell'Apostolo.

Ricercando nel vecchio Testamento le figure e le profezie intorno al sacrificio eucaristico, troviamo prima di tutto il chiarissimo vaticinio di Malachia: Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo viene sacrificata ed offerta al mio nome un'oblazione monda, perché grande è il mio nome tra le nazioni, dice il Signore degli eserciti (Malach. I, 11). Questa Vittima era pure prefigurata da tutti i sacrifici offerti sia prima che dopo la promulgazione della legge mosaica; perché i benefici espressi da quelli sono tutti contenuti nell'Eucaristia, che ne è come l'apice e il compimento. Fra tutte le figure, la più espressiva è quella di Melchisedec, perché il Redentore medesimo, per ben rilevare che era stato costituito sacerdote per l'eternità secondo l'ordine di Melchisedec (Ebr. VII, 3), offrì all'Eterno suo Padre, nell'ultima cena, il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino.

Natura e valore del sacrificio della Messa

Si deve dunque riconoscere che il sacrificio della Messa e quello offerto sulla croce non sono e non devono essere considerati che un solo e identico sacrificio, come una e identica è la vittima: Cristo signor nostro, che si è immolato una sola volta sulla croce in modo cruento. Ora, la vittima cruenta e quella incruenta sono un'unica vittima e non due, il cui sacrificio, dopo il precetto del Signore: Fate questo in memoria di me, si rinnova ogni giorno nell'Eucaristia. È anche unico e identico il sacerdote, cioè Cristo medesimo, poiché i ministri celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo, quando consacrano il suo corpo e il suo sangue. È provato dalle parole stesse della consacrazione, nelle quali il sacerdote non dice: Questo è il corpo di Cristo, ma: Questo è il mio corpo; appunto perché rappresentando egli, allora, la persona di Cristo, trasforma la sostanza del pane e del vino nella vera sostanza del corpo e del sangue di Lui.

Posta questa verità, bisogna con fermezza insegnare, insieme con il sacro Concilio, che l'augusto sacrificio della Messa non è soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento, né una semplice commemorazione di quello della croce, ma un vero sacrificio propiziatorio, col quale ci rendiamo Dio placato e propizio. Perché se con puro cuore, con fede viva, con intimo dolore dei nostri peccati immoliamo e offriamo questa Vittima sacrosanta, otterremo infallibilmente dal Signore la misericordia e la grazia al momento opportuno. Infatti il Signore tanto si compiace del profumo di questa Vittima, che ci perdona i peccati, concedendoci il dono della grazia e della penitenza. Perciò la Chiesa dice in una solenne preghiera: Quante volte si celebra la memoria di questa Vittima, altrettante si compie l'opera della nostra salvezza (Dom. IX dopo Pent.); poiché tutti gli abbondantissimi meriti della Vittima cruenta si riversano su di noi in grazia di questo sacrificio incruento.

Insegneranno pure i Parroci che l'efficacia di questo sacrificio è tale da giovare non solo a chi l'offre e a chi lo riceve, ma a tutti i fedeli che siano ancora vivi sulla terra, o che, essendo già morti nel Signore, non siano ancora completamente purificati. Perché è certa tradizione apostolica che il sacrificio della Messa si offre utilmente anche per i morti, oltreché per i peccati, le pene, le soddisfazioni, le varie angustie e calamità dei vivi. Ne segue che tutte le messe sono sempre da considerarsi comuni, in quanto sono dirette alla comune utilità e salute di tutti i fedeli.

Il sacrificio della Messa abbraccia molti riti notevoli e solenni, nessuno dei quali si può giudicare superfluo o vano, perché tutti son diretti a far meglio risplendere la maestà di sì grande sacrificio, e a trasportare i fedeli dalla vista di così salutiferi misteri alla contemplazione delle cose divine, in essi celate. In queste cerimonie non è opportuno trattenerci di più, sia perché a trattare tale materia ci vorrebbe uno spazio più ampio, sia perché potranno i sacerdoti facilmente consultare i moltissimi libri e trattati composti da uomini dotti e pii intorno a questo argomento.

Basti quindi quello che fin qui abbiamo esposto, con l'aiuto di Dio, intorno ai punti principali che si riferiscono all'Eucaristia, sia come sacramento, sia come sacrificio.