CAPITOLO III

PADRE PIO

Chi vide fra Pio studente a Montefusco nel novembre 1908, lo descrisse come «un bel giovane paffuto, dal viso roseo che nulla lasciava trapelare della malattia della quale era affetto».

«Il male principale — commentava anni più tardi lo stesso padre Pio — nella mia malattia era il fatto che apparentemente io non dimostravo alcun male, per cui parecchi potevano dubitare che io effettivamente soffrissi».

Tutto lo vuole Iddio

La permanenza al paese nativo per una misteriosa malattia, le cui cause reali nessuno riesce a diagnosticare, secondo le vedute umane sarebbe dovuta essere breve, con la speranza di un giovamento alla malferma salute; invece nei piani di Dio si protrasse per quasi sette anni (maggio 1909-febbraio 1916) e il fine desiderato dagli uomini non si verificò; fra Pio si dimena sempre in uno stato abituale di malattia.

La dimora presso i suoi non era ben vista dai superiori, ma soltanto tollerata e perciò fu richiamato più volte in convento. Padre Pio, obbediente, partiva, ma dopo breve tempo era costretto a ritornare a casa.

È un periodo questo, nella sua vita, di intenso progresso interiore e di perseverante ascesa per le vie difficili dell'itinerario spirituale, ampiamente lumeggiato dalla sua corrispondenza epistolare coi direttori spirituali.

L'aria nativa gli porta qualche giovamento, perché in certi periodi si sente «benino»; ma non si illude: l'idea della guarigione gli sembra un «sogno», una parola «priva di senso».

Alle sofferenze fisiche, che aumentano di giorno in giorno, si aggiungono tormenti spirituali; ma egli gode, per intercessione di Maria, di una grande rassegnazione ed in silenzio adora la mano che lo percuote, sapendo che è lo stesso Signore che da una parte lo affanna e dall'altra lo consola.

Le tentazioni «assaissime» desidererebbe che gli fossero cambiate dal Signore in dolori fisici, per paura di commettere il peccato, ma «sia come si voglia, a me basta sapere che tutto lo vuole Iddio e son lieto lo stesso». E fortifica il suo spirito con la comunione quotidiana: «come potrei vivere senza accostarmi a ricevere Gesù anche per una sola mattina?».

Anche se in certi momenti sembra che gli «vada via la testa» per respingere gli assalti veementi del tentatore, che si sforza di strapparlo «dalle mani di Gesù», fra Pio non dispera, deciso a non offendere il suo «caro Gesù con un solo peccato, benché lieve»; se egli «non ha misurato il suo sangue per la salvezza dell'uomo, vorrà misurare i miei peccati per quindi perdermi?».

Sacerdote santo

Per non perdere l'anno scolastico studia privatamente, perché ha un «desiderio vivissimo» di essere sacerdote.

Il 10 agosto 1910 la sua grande speranza diventa realtà: è ordinato sacerdote nella cappella dei canonici nel duomo di Benevento da monsignor Schinosi. Il 14 agosto canta la prima Messa solenne a Pietrelcina e per la circostanza scrive il suo pensiero ricordo, che è anche il suo programma di vita: «Gesù — mio sospiro mia vita — oggi che trepidante ti elevo — in un mistero di amore — con te io sia pel mondo — Via Verità Vita — e per te sacerdote santo — vittima perfetta».

Ogni Messa per padre Pio è «la prima Messa»; la gioia è inesprimibile e continua, turbata solo dalla sua ingratitudine, come lui crede e dice.

Ogni anno il suo pensiero vola al «bel giorno» della sua ordinazione sacerdotale: «domani festa di san Lorenzo, è pure il giorno della mia festa. Ho già incominciato a provare di nuovo il gaudio di quel giorno sacro per me. Fin da stamattina ho incominciato a gustare il paradiso... E che sarà quando lo gusteremo eternamente? Vado paragonando la pace del cuore, che sentii in quel giorno, con la pace del cuore che incomincio a provare fin dalla vigilia, e non ci trovo nulla di diverso. Il giorno di san Lorenzo fu il giorno in cui trovai il mio cuore più acceso di amore per Gesù. Quanto fui felice, quanto godei quel giorno!».

A volte sento un fuoco che brucia, ma è «un fuoco che fa bene»; la bocca gusta tutta «la dolcezza di quelle carni immacolate del Figlio di Dio»; che «ogni mattina viene in me e riversa nel mio povero cuore tutte le effusioni della sua bontà».

Quando non può celebrare si sente «estremamente sconfortato» (una vera «desolazione»); «ciò che più addolora si è il non poter celebrare, né satollarmi delle carni del divino agnello»; e prega il suo Gesù che non voglia privarlo dell'«unico conforto», che gli resta sulla terra.

Mi scacci dal tuo Ordine?...

Sempre per motivi di salute padre Pio continua a restare in famiglia; malattia «misteriosa», come misteriosa era la permanenza a Pietrelcina: «Un giorno da me interrogato — scrive nel suo diario padre Agostino da S. Marco in Lamis, suo direttore spirituale — rispose: "Padre, non posso dire la ragione, per cui il Signore mi ha voluto a Pietrelcina; mancherei di carità!...". E non l'ho mai più interrogato su tale argomento».

Il provinciale padre Benedetto da S. Marco in Lamis tenta a più riprese di ricondurlo al convento e la permanenza più lunga fu a Venafro, ove dimorò dalla fine di ottobre al 7 dicembre 1911.

Dall'ordinazione sacerdotale alla partenza per Venafro, padre Pio soffrì grandi tormenti diabolici, che a volte non lo lasciarono libero neppure nelle ore di riposo, «oltremodo amareggiato. Il demonio mi vuole per sé ad ogni costo».

Quando si vede sull'orlo della disperazione, ricorre alla «comune nostra madre Maria», che non sa come ringraziare «per tali grazie singolarissime»; con fiducia si gitta nelle braccia di Gesù «ed avvenga poi quello che lui ha decretato ed egli certamente ci deve pensare ad aiutarmi». Nel pregare «ai piedi di Gesù sembrami di non sentire affatto né il peso della fatica, che fò nel vincermi allorché sono tentato e né l'amaro dei dispiaceri».

Ritornato in convento, durante un mese e mezzo circa passato a Venafro, la fraternità si accorge dei primi fenomeni soprannaturali: «assistetti (e non fu il solo) — scrive padre Agostino da S. Marco in Lamis nel suo diario — a parecchie estasi e molte vessazioni diaboliche. Scrissi allora tutto ciò che ascoltai dalla sua bocca durante le estasi e come avvenivano le vessazioni sataniche».

Durante la permanenza a Venafro il suo sostentamento è l'Eucarestia, sia che celebri sia che riceva soltanto la santa comunione, perché costretto a letto.

Per le peggiorate condizioni di salute, il 7 dicembre è costretto di nuovo ad uscire di convento ed il ritorno a Pietrelcina lo seppe da san Francesco, quando a Venafro gli apparve ed egli si lamentò con lui: «O serafico Padre mio, tu mi scacci dal tuo Ordine? ...non sono più figlio tuo? ...la prima volta che mi appari, padre san Francesco, mi dici di andare a quella terra di esilio?... Ma, Gesù mio, aiutami... E quale sarà il segno che tu mi vuoi là?... Dirò la Messa... Ebbene, Gesù mio, sii ringraziato».

Costretto a vivere «esule nell'esiglio del mondo», cioè fuori convento, anche da sacerdote continua a trattare tutti con cordialità e confidenza, non permettendo che la sua dignità sacra crei quella riverenza che sappia di soggezione e di distacco.

Il mondo contadino da cui viene, è ancora tutto suo: va in campagna e, come prima, saluta, dice la buona parola d'incoraggiamento, accetta volentieri l'invito di sostare, anche un momento, all'ombra di un albero se fa caldo, nella masseria, se il tempo è inclemente; nei campi «sta davanti ai lavoratori e parla di religione».

I suoi compagni di fanciullezza, ormai giovani come lui, pur seguendo strade e destini diversi, restano sempre i suoi «compagni»: incontri festosi, battuta scherzosa, tiratina d'orecchio, notizia scritta e parola buona a chi serve la Patria oltre oceano in Libia; conversazioni, occasionali o ricercate, in mezzo ai paesani per l'apostolato spicciolo della parola e del buon esempio adatti a far vivere da buoni cristiani.

Non dava soggezione, perché «con la parlatura dialettale padre Pio affiatava i paesani attorno a lui».

Il suo apostolato sacerdotale si riduce ad aiutare il parroco nell'amministrazione dei sacramenti, esclusa la confessione che il provinciale non gli concesse i primi anni di Messa per ragioni di salute e di non provata scienza morale da parte sua.

Verso la fine di questo periodo inizia la direzione spirituale per corrispondenza di qualche anima, sempre col permesso chiesto ed ottenuto dai superiori.

Ma più che con tali forme visibili, lo zelo per le anime padre Pio lo attua soprattutto attraverso lo stato di vittima, vissuto intensamente come irradiazione della virtù salvifica di Gesù e della sofferenza del corpo e dell'anima, richiesta ed accettata come partecipazione personale e generosa per il riscatto dell'umanità redenta e peccatrice.

* * *

La vita soprannaturale si sviluppa armonicamente tra la munificenza divina e la fedeltà umana.

Fra le tante torture corporali e spirituali, padre Pio vede sempre la volontà di Dio che opera per il nostro bene: «si faccia sempre di me ed intorno a me in tutto e per tutto la santissima e amabilissima volontà di Dio, perché è questo quello che mi ha retto. So che lui non opera senza fini santissimi, utili a noi».

Teme di ridursi «in cenere di peccati», ma non vuole assolutamente offendere Dio, perché l'offesa di un sacerdote è «molto più» grave di quella di ogni fedele.

Fortifica la sua debolezza con la comunione quotidiana, prega «ai piedi di Gesù» davanti al tabernacolo; ricorre fiducioso «alla comune nostra madre Maria»; e chiede lume e conforto ai suoi direttori spirituali.

In tanto buio doloroso, la presenza di Dio premia la buona volontà: di tanto in tanto una spera di sole che fa gustare una «gioia spirituale da non potersi spiegare».